Scienziato, ricercatore, chimico, innovatore rivoluzionario nel mondo della tecnologia di produzione della grappa e stimato collaboratore de L’Assaggio
Il salone della Camera di Commercio di Asti era gremito di distillatori provenienti da ogni parte d’Italia per il convegno nazionale grappa del 1981. Giovanni Borello, allora presidente dell’ente camerale, faceva le cose in grande e il parterre dei relatori era particolarmente ricco e ugualmente severo: uno per tutti basti citare Luciano Usseglio Tomasset, direttore dell’allora Istituto per l’Enologia di Asti ed eminente ricercatore noto in tutto il mondo, avvezzo a chiosare anche in modo pesante interventi erronei o di scarso valore. Io avevo da poco presentato la prima scheda per l’assaggio della grappa quando prese la parola un giovane ricercatore dell’Istituto di San Michele all’Adige: Giuseppe Versini. Fu in quella occasione che presentò una ricerca destinata a diventare la più grande rivoluzione tecnologica dei nostri tempi nella produzione della grappa: l’acidificazione della vinaccia. Fu così che lo conobbi e che scattò quella stima reciproca che ci portò a collaborare ininterrottamente nei successivi trent’anni, non di rado compagni in convegni in Italia e all’estero, in azioni formative impegnative come il Master in Scienza della Grappa, o in organizzazioni del settore come l’Istituto Nazionale Grappa in cui dagli albori (1996) è stato presidente del comitato scientifico. Beppe era un chimico di origini pugliesi, nato a Barletta nel 1948 e laureato all’Università di Padova. Nel 1974 entrò all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e operò fino al pensionamento, ricoprendo dal 1995 l’incarico di coordinatore del laboratorio di analisi e del centro ricerche. Non voleva il titolo di direttore e chiamava “collega” anche l’ultimo arrivato. Non era falsa modestia, era il suo modo di essere, viveva per la ricerca alla quale dedicava molto tempo anche a casa.
Con questa filosofia di vita, scevra da ogni ricerca del successo, del denaro e della carica, poteva permettersi una posizione di assoluta libertà intellettuale, una coerenza inaffondabile e la possibilità di dire sempre a tutti come la pensava. Cosa che faceva puntualmente, tanto da risultare, a volte, non poco scomodo. Ricercatore di grande valore con oltre 250 lavori al suo attivo (vogliamo ricordare, solo a titolo di esempio, che è stato tra i primi in Europa nel campo delle ricerche spettroscopiche Nmr), aveva amici in tutto il mondo, perché non lesinava mai a nessuno di comunicare il suo sapere. E, dato che era tanto, finiva che tutti ne approfittavano, io per primo. Molte volte si cominciava già a parlare di problemi tecnologici o analitici durante la prima colazione, negli alberghi. Lo faceva volentieri, come se anche durante la notte gli fosse venuto qualcosa in mente, ed era sempre pronto a riconoscere quando le scienze sensoriali mettevano in evidenza qualcosa prima che potesse giungere la conferma da parte dell’identificazione di quelle molecole di cui era profondo conoscitore. Oltre che sulle acqueviti abbiamo avuto modo di collaborare anche per il caffè e persino sui tartufi. Nei miei confronti vanta un credito enorme che non riuscirò più a saldare, un credito che va ben oltre la collaborazione scientifica: le sue lezioni di rigore (scientifico e umano), sempre somministrate con l’esempio, rappresentano un’eredità di valore inestimabile.
Giuseppe Versini, che voglio anche ricordare come collaboratore de L’Assaggio, non è più con noi dallo scorso 18 ottobre.
Luigi Odello
Tratto da L’Assaggio 32 – Inverno 2010